Prima la salute - di ISDE Medici per l'Ambiente

Il diritto al clima esiste davvero e può essere portato in tribunale

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Per le violazioni ambientali uno strumento che in Italia pochi conoscono è il ricorso al giudice civile ordinario, molto usato in altri Stati.

 

di Luca Saltalamacchia, Avvocato in Napoli

isde_logo_piccoloRiguardo alla problematica dei danni – già esistenti o soltanto potenziali – alla salute derivanti da attività che incidono sull’ambiente (non solo disastri ambientali, ma anche inquinamento, alterazione climatica, etc.), una strategia molto poco usata in Italia, ma che è molto utilizzata negli altri Stati, è quella del ricorso al Giudice civile ordinario.
Eppure parliamo di diritti fondamentali dell’individuo, quali il diritto alla salute e all’ambiente salubre, che dovrebbero trovare nel Giudice civile l’alveo giuridico naturale per la loro tutela.

La Costituzione riconosce, all’art. 32, il diritto alla salute, definendolo così: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Il diritto di ogni cittadino a che la propria salute venga tutelata implica da un lato che lo Stato ha l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie affinché la tutela di tale diritto venga realizzata e dall’altro che i privati non possano violare tale diritto, nemmeno mediante attività di per sé lecite.
La dottrina e la giurisprudenza hanno poi specificato che nell’ambito del diritto alla salute viene ricompreso il “diritto alla salubrità dell’ambiente”1.

Nel nostro Paese la gran parte dei contenziosi che riguardano l’ambiente vengono celebrati dinanzi alla Magistratura amministrativa (e hanno come oggetto l’impugnazione di singoli atti amministrativi) o nell’ambito dei processi penali (nei quali si tenta di far valere la responsabilità penale di chi ha commesso specifici reati).
Per contro, mediante il ricorso all’autorità ordinaria civile si possono chiedere al Giudice diversi provvedimenti, quali la sospensione cautelativa di progetti che hanno impatti sulla salute o sull’ambiente, il risarcimento dei danni già cagionati, la bonifica dei siti già inquinati, per cui in caso di disastri ambientali una strategia efficace può essere quella di attivare il contenzioso a più livelli (per esempio denuncia penale e autonoma azione civile).

Nel 2017 ho introdotto dinanzi al Tribunale civile di Milano una causa che non ha precedenti: il mio cliente era una intera comunità indigena nigeriana (la comunità di Ikebiri) che ha un giudizio contro ENI e la sua controllata nigeriana (NAOC). Con questo processo, per la prima volta si sono trattati argomenti nuovi, quali la legittimazione ad agire di una comunità indigena in Italia e la responsabilità di una società controllante per danni ambientali posti in essere dalla controllata. Il giudizio si è poi concluso per effetto di una transazione.

Grazie a quest’esperienza sono entrato in rete con altri avvocati ambientalisti europei che da anni ricorrono al Giudice ordinario e ho avuto contezza del fatto che in tantissimi Stati sono partiti giudizi contro enti pubblici (Stati, Comuni) e contro imprese in merito al clima2.

Concetti di danno climatico, responsabilità climatica e diritto al clima sono aspetti dello stesso tema di fondo: quello del diritto di ciascun individuo (e delle collettività) a essere tutelato dalla conseguenze del cambiamento climatico e, quindi, di pretendere una politica climatica efficace.

Se oggi esiste un’emergenza ambientale collettiva e globale, è proprio quella del clima. Il cambiamento climatico minaccia il godimento dei diritti fondamentali dell’individuo (quali il diritto alla vita, alla vita familiare, all’ambiente salubre, alla salute e altri), per cui sarebbe illogico non riconoscere l’esistenza di un correlato diritto a un clima sicuro, diritto che potenzialmente può anche essere portato dinanzi a un Tribunale in caso di sua violazione da parte di Stati o di aziende che compiono scelte che hanno devastanti impatti climatici.

Questa è la strada battuta dalla Corte di Appello civile dell’Aja in un giudizio senza precedenti celebratosi contro lo Stato olandese per opera della ONG Urgenda, conclusosi con la condanna dello Stato ad adottare una politica climatica di taglio del 25% delle emissioni di gas serra entro il 2020 in quanto tale riduzione è quella minima prevista dalla comunità scientifica per cercare di centrare l’obiettivo di ridurre il riscaldamento globale entro 2° rispetto all’era preindustriale.
La Corte ritiene che, essendo certe le conseguenze devastanti di un riscaldamento globale superiore a tale soglia, una politica climatica inefficiente mette a repentaglio i diritti fondamentali degli individui riconosciuti dalle norme olandesi e dagli accordi internazionali, primo fra tutti la Convenzione europea dei diritti dell’uomo3.

Il diritto al clima, inteso come diritto in capo agli individui di pretendere una politica climatica che contrasti il fenomeno del global warming, ha come suo corollario anche il diritto all’informazione sulle emissioni climalteranti garantito dal regolamento europeo n. 1367/2006 (considerato da Giurisprudenza della Corte europea un «interesse pubblico prevalente», non negoziabile e bilanciabile con interessi economici delle imprese; da noi è tutto ribaltato: i cittadini non sanno quali effetti producono le attività dell’impresa e vengono tutelati gli interessi economici), e nel diritto all’analisi costi-benefici (il diritto a conoscere quali sono i costi economici, esistenziali, climatici, sociali, ambientali che i cittadini dovranno affrontare a causa di scelte del governo o dell’impresa), garantito dal regolamento europeo n. 347/13.

Tutte le procedure relative ai grandi progetti climalteranti che vengono portati avanti in Italia non hanno rispettato tali norme. Inoltre, è palese che lo Stato italiano non stia realizzando una politica climatica sufficientemente ambiziosa ed efficace per contrastare il fenomeno del global warming, tant’è che alcune ONG già hanno annunciato il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, sul modello della causa celebratasi in Olanda, per far valere l’inadempimento dello Stato4.

In definitiva, ritengo che il ricorso al giudice civile, grazie alla sua elasticità, possa costituire un rimedio efficace per ottenere la tutela e la salvaguardia dell’ambiente e del diritto alla salute, e che vada incentivato il contenzioso che contempli la prospettiva del diritto al clima e – conseguentemente – della violazione delle normative climatiche, anche perché – qualora non portasse a risultati positivi in Italia – potrebbe sfociare in azioni dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani e alla Corte di Giustizia UE.

1 In particolare, Corte di Cassazione con la sentenza n. 5172 del 1979

2 Attualmente, il numero di cause climatiche nel mondo supera di gran lungo il numero di mille: http://climatecasechart.com/

3 https://www.urgenda.nl/en/themas/climate-case/

4  http://giudiziouniversale.eu/