Agricoltura

La coltivazione intensiva dei noccioleti non è mai sostenibile

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Dove ci sono queste industrie a cielo aperto si tollera un uso improprio dei pesticidi che non solo è dannoso per ambiente e salute ma è vietato per legge.

 

di Mario Apicella

Superare gli ostacoli decennali che non consentono di applicare la normativa in vigore sull’uso sostenibile dei pesticidi è diventato un compito davvero arduo. L’unica via d’uscita per bloccare l’intossicazione cronica – e spesso acuta – delle popolazioni residenti nei territori in cui la monocoltura dei noccioleti ha preso il sopravvento sembra essere ormai il ricorso alla Magistratura.

La principale causa dell’eccessiva tolleranza verso i trattamenti indiscriminati con pesticidi di sintesi è indubbiamente da addebitare al prolungato utilizzo di queste sostanze tossiche nelle colture intensive di tutto il mondo dall’ultimo Dopoguerra in poi, che ha consentito per più di mezzo secolo di consolidare una pericolosa tendenza di tipo culturale, orientando con finanziamenti e politiche pianificate la creazione di industrie a cielo aperto fondate sulla monocoltura e gli allevamenti intensivi che sacrificano la biodiversità agraria e zootecnica e consolidate tradizioni contadine.

Vigneti, frutteti, vivai, colture orticole e da pochi anni anche i noccioleti stanno creando in Italia notevoli problemi non solo all’ambiente in cui insistono ma anche alla salute delle popolazioni residenti, grazie a una campagna che pubblicizza come innovativa e moderna l’agricoltura industriale impiegando una terminologia appositamente vaga che si contraddice in ogni asserzione. E riuscendo comunque a far tollerare comportamenti consolidati che non si vuole correggere e abbandonare.

Pur essendo la normativa che regola l’uso sostenibile dei pesticidi molteplice e spesso di difficile comprensione in quanto include convenzioni, strategie e trattati internazionali, decine di direttive e regolamenti europei e una ventina di leggi e decreti italiani, il riferimento più importante da prendere in considerazione è il Decreto legislativo 150 del 2012.

Questo decreto, che recepisce una direttiva europea del 2009, delinea al suo interno gli interventi più semplici ed efficaci che la Polizia Giudiziaria può adottare per agevolare il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e deterrenza nei confronti di un uso improprio dei pesticidi, consentendo di superare la confusione culturale e spesso giudiziaria con cui si aggira puntualmente il diritto penale e si calpestano i diritti delle “persone residenti o domiciliate all’interno e in prossimità delle aree in cui vengono effettuati i trattamenti con prodotti fitosanitari” permettendo che venga tollerato quanto per legge è vietato.

Gli interventi più appropriati quindi, che facilmente si possono realizzare nel caso in cui pervengano segnalazioni e/o si decida di valutare con serietà le condizioni di razionale utilizzo dei prodotti fitosanitari, possono prevedere le seguenti attività da svolgere in due distinti momenti:

A) un immediato sopralluogo negli appezzamenti in cui vengono segnalati i trattamenti con prodotti fitosanitari per rilevare con un semplice verbale:
1. la presenza di vento, dato che tutti i prodotti fitosanitari indicano in etichetta l’obbligo di essere utilizzati in “assenza di vento” e che tutte le leggi obbligano gli operatori al completo rispetto delle indicazioni riportate in etichetta e nelle schede tecniche dei prodotti utilizzati;
2. i cartelli di segnalazione dei trattamenti in corso e della coltura trattata, previsti dall’articolo 11 del D.lgs 150/2012 che dovrebbero essere apposti, nella Provincia di Viterbo ad esempio, davanti all’ingresso delle abitazioni confinanti con gli appezzamenti trattati, essendo chiaramente indicato che vanno posizionati “sul margine dell’appezzamento trattato in posizione ben visibile, possibilmente in corrispondenza ai punti di accesso, che indichi la data e la superficie trattata, il prodotto utilizzato, il tempo di rientro indicato in etichetta”. Quest’ultimo è definito come “il periodo di tempo che intercorre fra il trattamento e la possibilità di entrare senza Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nella coltura trattata”, che troppo spesso coincide con il terreno confinante la propria abitazione.

Il senso della normativa esistente, e troppo spesso disapplicata, è racchiuso in 4 chiari obiettivi che al primo posto vedono proprio “la protezione degli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e della popolazione interessata” * (comma 3 articolo 6 del D.lgs 150/2012) dall’impatto sulla salute umana.

B) Un secondo sopralluogo subito dopo lo scadere dei 30 giorni dal trattamento segnalato, con una specifica visita nel centro aziendale per visionare, semplicemente fotografando:
1) il registro obbligatorio dei trattamenti (commi 3 e 4 articolo 16 del D.lgs 150/2012 e punto 3 delle) in cui saranno stati segnalati per legge i dati della coltura trattata e della sua estensione, del prodotto chimico e del quantitativo utilizzato, del giorno del suo utilizzo, dell’avversità che ha reso necessario il trattamento.
Linee Guida della Provincia di Viterbo segnalano inoltre che “Le autorità locali competenti, relativamente all’utilizzo dei prodotti fitosanitari ad azione fungicida, insetticida e acaricida devono tener conto che: sono da privilegiare misure di controllo biologico, trattamenti con prodotti a basso rischio come definiti nel regolamento (CE)1107/09, con prodotti contenenti sostanze attive ammesse in agricoltura biologica, di cui all’allegato del regolamento CE 889/08”.
2) le fatture di acquisto dei prodotti fitosanitari (comma 4 articolo 16 del D.lgs 150/2012);
3) il deposito dei prodotti fitosanitari e le etichette integre degli stessi;
4) il certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari, intestato all’operatore che ha effettuato i trattamenti segnalati;
5) l’attestato rilasciato da un Centro prova autorizzato di avvenuta messa a norma con i requisiti minimi previsti dal P.A.N. per le macchine irroratrici.

Gli enti competenti per territorio, concludono le Linee Guida citate, svolgono attività di controllo sulla corretta gestione ed esecuzione dei trattamenti con prodotti fitosanitari.
Interpellati costantemente dagli abitanti dei Comuni del viterbese tali autorità hanno invece puntualmente declinato ogni possibilità di intervento sostenendo che è tutto a norma, che gli agricoltori rispettano le ordinanze dei sindaci, che non sono riusciti a trovare chi con motori e atomizzatori a tutta randa stava effettuando trattamenti, non sentendo addirittura nessun rumore provenire dai campi, non avendo strumenti per intervenire…

Le Linee guida per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, pubblicate nel febbraio del 2015 dalla Provincia di Viterbo, ignoravano che ormai in Italia per legge esiste solo la difesa integrata obbligatoria, sia per le aziende convenzionali che per le aziende biologiche, essendo completamente fallita la difesa integrata volontaria, utilizzata secondo gli ultimi rilievi Istat del 2018 solo su 1.567 ettari nel Lazio (0,22% della SAU) , con solo 45 aziende certificate di cui 10 per Coltivazioni arboree e unicamente 3 per Nocciole (https://indicatori-pan-fitosanitari.isprambiente.it/sys_ind/22). Inoltre dal 1° gennaio 2014 per il D. lgs 150/2012 la difesa a calendario e la stessa difesa guidata sono ormai vietate e l’uso dei prodotti fitosanitari sintetici resterebbe una prerogativa delle pochissime aziende che aderiscono al Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata o alla misura 10.1.1 dei Piani di Sviluppo Rurale, se non fosse tollerato illecitamente per tutte le aziende che utilizzano pesticidi sintetici non ammessi in agricoltura biologica.

I bollettini fitosanitari emessi a questo punto dalle organizzazioni di produttori di nocciole convenzionali sembrano quasi istigare a non rispettare la normativa, proponendo a tutti gli agricoltori l’obbligo di intervenire con prodotti sintetici nei loro terreni senza indugio con trattamenti dentro il naso di tutti, che ovunque vengono intesi doversi effettuare settimanalmente. Questo ha fatto registrare per la provincia di Viterbo una vendita di principi attivi non consentiti in agricoltura biologica che dai 75.284 kg del 2018 è passata agli 88.227 kg del 2019 con un incremento di oltre il 17 %, contrario a ogni norma che prevede la loro graduale riduzione. Né sembra che qualche voce contraria a quest’andazzo si sia levata dai Comuni, dalla Regione e dallo stesso Biodistretto laziale, costituitosi con i finanziamenti della legge regionale 11/2019.

A nulla è valso esortare con una PEC il Prefetto di Viterbo per rivendicare il diritto alla salute compromesso sia dall’uso indiscriminato di prodotti fitosanitari, sia dallo smaltimento altrettanto indiscriminato di interi indotti di potature a mezzo bruciatura, anche previo smaltimento abusivo di confezioni vuote di pesticidi. Non resta che rivolgersi alla Magistratura per mettere in evidenza la profonda incongruenza fra le misure poste in essere con il lockdown (il coprifuoco, le limitazioni degli spostamenti, le mascherine) per tutelare la salute pubblica e il fatto che i residenti della Provincia, chiusi in casa, siano sottoposti a costanti ondate di pesticidi cancerogeni, nebbie di fumi tossici ed altre esternalità correlate, come se in questa declinazione la salute non fosse più una priorità.
Ma per il principio di pari dignità sociale previsto nella Costituzione non si può prospettare un distinguo di tutela della salute fra gli agricoltori che vanno in campo a dare questi prodotti con tanto di tute lunari e filtri apocalittici e ignari residenti, fra cui anziani donne e bambini, privi di ogni Dispositivo di Protezione come è normale in un’abitazione.

Occorre allora che siano posti in essere congrui controlli previa formazione specifica del personale.
Che si vietino i pesticidi di sintesi nelle aree in cui ci sono abitazioni sparse consentendo solo quelli previsti in produzione biologica.
Che si rendano edotti gli agricoltori che immettere sostanze nell’ambiente in modo deliberato e in contrasto con le disposizioni di legge configura una condotta abusiva, come chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n° 46170 del 2016, che potrebbe rappresentare una fattispecie di “ecoreato”.

Indagherà la magistratura se i bollettini fitosanitari e i comportamenti dei singoli coltivatori di nocciole convenzionali, senza rifarsi alla vigente difesa integrata obbligatoria, possano avere una rilevanza penale nel disastro annunciato che si sta consumando sulla pelle dei residenti.