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Piano cave e Apuane, polemiche tra Confindustria e Legambiente

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Tra industriali del marmo e Cigno Verde posizioni distanti sul nuovo Piano regionale cave e sui criteri di misurazione della percentuale di detriti.

 

MASSA (Ms) – Dopo il via libera del Consiglio Regionale alle modifiche del Piano regionale cave del 21 luglio, Legambiente ha preso posizione definendolo “un piano che favorisce i lobbisti del marmo e che anziché rendere sostenibile l’attività estrattiva innalza le percentuali ammissibili di detriti nell’escavazione”. Nel frattempo si è allargato il fronte della protesta con un flash mob per la tutela delle Alpi Apuane organizzato sabato scorso a Firenze da Fridays for Future, Legambiente Firenze, Extinction Rebellion e altri gruppi ambientalisti.

Una lettura che non vede d’accordo gli industriali del marmo. Per Confindustria Massa Carrara l’errore di fondo che commette Legambiente è “ritenere che nel determinare i volumi di resa di una cava debbano essere calcolati anche i materiali derivanti dalla realizzazione di una strada di accesso, che non riguarda i derivati del lavoro di escavazione”.

“Ci domandiamo come mai Legambiente non usi la stessa vis polemica contro le cosiddette cave di scopo – continua Confindustria – che hanno come unica ragione quella di estrarre materiale da riempimento o per altre lavorazioni, così come non ci spieghiamo perché Legambiente non confronti le rese delle cave di Carrara con le rese di altre cave in Italia e nel mondo. Grazie alla Carrara Marble Way, le imprese apuane hanno realizzato un sistema di economia circolare per utilizzare nella lotta all’erosione delle coste il materiale residuo derivante dalla escavazione del marmo che un tempo veniva considerato rifiuto e gettato via”.

Ribatte Legambiente: “Occorre tener conto che, sebbene le cave di marmo siano consentite all’unico fine dell’estrazione dei blocchi, i dati della pesa comunale dal 2005 a oggi dimostrano che più di un terzo delle cave ha portato a valle meno del 10% in blocchi (oltre il 90% di detriti): difficile credere che ciò sia il frutto di eventi occasionali, anziché la cruda realtà quotidiana. Senza considerare le numerose cave apparentemente virtuose, avendo rese blocchi dal 30 al 100%, ma solo perché hanno abbandonato abusivamente i detriti al monte”.

“Confindustria sostiene che quel piano non fa altro che prendere atto della realtà –  continua Legambiente -. In effetti il piano, pur constatando l’insostenibilità del prelievo, ha risolto il problema rendendolo perfettamente normale. Siamo proprio sicuri che i cittadini accettino riconoscenti l’esistenza di cave che distruggono un ecosistema per ridurne oltre il 90% a detriti? L’asportazione dei vecchi ravaneti si traduce nel prelievo delle scaglie, nell’abbandono in loco di terre e marmettola, nell’incremento dell’instabilità dei ravaneti con conseguente inquinamento di fiumi e sorgenti mentre i vecchi ravaneti hanno bisogno di asportazione delle terre lasciando sul posto le scaglie, da risistemare in ‘ravaneti-spugna’ per ridurre il rischio alluvionale”.

“Lanciamo sinceramente una sfida a Confindustria: che appoggi la nostra richiesta di introdurre, come requisito di partecipazione alla gara pubblica per il rilascio delle concessioni, l’obbligo di lavorare in loco la gran parte dei blocchi prodotti – conclude Legambiente – . Lascerebbe al territorio apuano almeno una buona ricaduta occupazionale nella filiera locale, anziché solo problemi e devastazioni”.