Opinioni

Se non facciamo qualcosa, nei prossimi anni un mare di mascherine ci sommergerà

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Se quella dei rifiuti era già un’emergenza prima del Covid ora ci troviamo nei guai seri: per capirlo basta fare due conti.

 

di Sara Falsini

Il COVID ha stravolto completamente le nostre vite e ha reso normali dei rituali che un anno fa erano impensabili: indossare la maschera facciale e i guanti, disinfettarsi spesso le mani con il gel igienizzante. Dietro tutte queste pratiche, vi siete immaginati quanti rifiuti in più vengono prodotti?

Beh, ragioniamoci un attimo e facciamo una rapida stima. Ciascuno di noi userà almeno una mascherina, chirurgica o FFP2, al giorno, essendo usa–e-getta. Quindi in Italia ne verranno gettate via 60 milioni circa ogni giorno. Se consideriamo che l’emergenza durerà anche più un anno dopo i lockdown dovremmo moltiplicare questo numero per 365, che corrisponde a 21 miliardi di mascherine (2,1 x 1010) trasformate in rifiuti. Se ognuna di queste pesa 0,5 gr circa, significa dover gestire 10.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati in più, senza contare tutti gli imballaggi. Infatti il più delle volte ciascuna di esse è impacchettata singolarmente. Questo significa che una famiglia produce in media mezzo kg di rifiuti indifferenziati in più al mese.

Quindi se prima del COVID in Italia (2019) la produzione di rifiuti urbani si era stabilizzata sui 30 milioni di tonnellate e la frazione di rifiuti differenziati prodotta era aumentata rispetto agli anni precedenti, ora la situazione è sicuramente peggiorata. Ma l’aumento dei rifiuti prodotti e, di conseguenza, da gestire non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo (1). Infatti se stimiamo che tutta la popolazione mondiale usi almeno una maschera facciale usa-e-getta al giorno, la pandemia potrebbe comportare un consumo globale mensile e uno spreco di 129 miliardi di maschere facciali e 65 miliardi di guanti (2).

Se già quella dei rifiuti era una situazione emergenziale prima del COVID, ora ci troviamo nei guai seri. La pandemia ha sicuramente complicato la sfida di superare l’inquinamento da plastica. Infatti le maschere facciali, pur essendo completamente di plastica, non possono essere riciclate e sono state classificate come rifiuti indifferenziati, insieme a molti altri oggetti come i giocattoli, che non appartengono alla categoria “packaging”. Se questi rifiuti venissero inclusi tra i rifiuti differenziati si ridurrebbe notevolmente la quantità di indifferenziato, che invece di essere avviato al riciclo viene stoccato in discariche o peggio ancora incenerito.

Inoltre nel periodo emergenziale la domanda di petrolio è crollata producendo un abbassamento del prezzo. Questo con un effetto boomerang ha portato a un aumento della produzione di plastica da materia prima, meno costosa rispetto a quella ottenuta mediante riciclaggio. Infatti, secondo Corepla, (Relazione sulla gestione 2019) il mercato italiano che aveva già risentito del China ban, ovvero del divieto di importazione delle plastiche dai Paesi occidentali, ha dovuto far fronte anche a questa problematica che ha complicato ulteriormente la reimmissione nel mercato della plastica riciclata.

Attualmente si stima che la percentuale di plastica differenziata sia del 46,7%, quindi dovremmo fare di più, se consideriamo che la plastica dispersa negli oceani continua a essere un problema persistente e ancora niente affatto risolto.
Davvero troppa plastica sta invadendo il nostro pianeta, non ci possiamo arrendere, in primis alla pandemia ma anche all’utilizzo incontrastato della plastica senza pensare a un suo riciclo e a un suo riutilizzo. Il rischio concreto infatti è quello di trovarci sommersi da un mare di mascherine nei prossimi anni.

1 https://www.catasto-rifiuti.isprambiente.it/index.php?pg=&width=1280&height=720
2 https://www.who.int/news/item/03-03-2020-shortage-of-personal-protective-equipment-endangering-health-workers-worldwide

 

Sara FalsiniSara Falsini ha conseguito la laurea in Biologia (2010) e un dottorato di ricerca in Scienze Biomediche (2014) presso l’Università degli Studi di Firenze. L’esperienza acquisita durante la sua tesi di dottorato riguarda (1) biologia cellulare e molecolare, (2) preparazione e caratterizzazione di vettori a base lipidica per il rilascio di molecole bioattive. Le sue capacità personali si estendono quindi dalla manipolazione delle colture cellulari ai metodi fisico-chimici per lo studio dei nanosistemi.
Negli ultimi anni si è avvicinata al campo della sostenibilità e ha preso parte a un progetto H2020, MEDEAS. È stata coinvolta anche in un progetto finanziato dalla Regione Toscana (ECOMAPS), dove ha coordinato un blog per informare le persone sui rifiuti e sull’economia circolare. Attualmente ha una borsa di ricerca all’interno del Green Office dell’Università di Firenze.