Rifiuti e riciclo

Capannori, il Centro Rifiuti Zero lancia la eco mascherina che non inquina

Da sinistra Rossano Ercolini, presidente di Zero Waste Italy e il titolare di Oroburro Alessandro Salarpi
Da sinistra Rossano Ercolini, presidente di Zero Waste Italy e il titolare di Oroburro Alessandro Salarpi
È fatta di cotone e cellulosa ed è bio – compostabile. L’ha messa a punto un’agenzia lucchese di design in collaborazione con Centro Ricerca Rifiuti Zero e Zero Waste Italy.

 

di Gabriella Congedo

CAPANNORI (Lu) – Quello che ci dovrebbe proteggere da un rischio sanitario rischia di causare un gigantesco disastro ambientale. Perché le mascherine in TNT (Tessuto non Tessuto) contengono polipropilene, un polimero plastico derivato da fonti fossili, e hanno dunque un elevato potere inquinante.

È soprattutto una questione di numeri: ora che sono diventate obbligatorie si ipotizza un fabbisogno mensile di circa un miliardo di mascherine facciali solo per il nostro Paese. In Toscana parliamo di 3 milioni 800 mila mascherine al giorno, quanti sono i residenti. Materiali che nella migliore delle ipotesi andranno a finire nei rifiuti indifferenziati, altrimenti ce li ritroveremo gettati ovunque, come già succede.

È chiaro che servono soluzioni, e alla svelta. Una proposta interessante è quella tenuta a battesimo nella Giornata mondiale della Terra dal Centro Rifiuti Zero di Capannori: il progetto Arya, la mascherina monouso di cotone e cellulosa interamente compostabile messa a punto dall’agenzia lucchese di design Oroburro in collaborazione con il Centro di Ricerca Rifiuti Zero Capannori e Zero Waste Italy.

Facile da utilizzare e leggera, spiega il titolare di Oroburro Alessandro Salarpi, con un design ispirato agli antichi origami giapponesi, Arya può essere smaltita facilmente e, se per sbaglio viene gettata nell’ambiente, non arreca danno essendo bio-compostabile.

Questa mascherina non è adatta per uso ospedaliero e assistenziale ma è perfetta per la vita di tutti i giorni, per andare in giro e fare la spesa. Il che non è poco. Il materiale di cui è fatta, un composto filtrante a base di cellulosa e cotone impiegato comunemente nell’industria alimentare, ha già le certificazioni che lo dichiarano innocuo al contatto e ipoallergenico e adesso è in fase di validazione per la capacità filtrante batterica.

“Siamo partiti immaginando il momento in cui la situazione tornerà a essere quasi normale grazie alle misure di contenimento – racconta Salarpi – e l’Italia, come tutti gli altri Paesi, si troverà a dover smaltire miliardi di mascherine progettate e prodotte per un uso assai meno massiccio e quindi a elevato impatto ambientale. Noi abbiamo voluto trovare una soluzione che permetta di dotare tutta la popolazione di uno strumento idoneo al contenimento della diffusione del virus e allo stesso tempo che prevenga un disastro ambientale”.

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