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Pesticidi, Scuola Sant’Anna: le “malerbe” migliorano le rese agricole

Blackstonia perfoliata.
Blackstonia perfoliata.
Mantenere un certo livello di biodiversità nelle comunità di piante infestanti che convivono con le colture agrarie contribuisce a ridurre le perdite di produzione.

 

PISA – Mantenere un certo livello di biodiversità nelle comunità di piante infestanti che convivono con le colture agrarie contribuisce, al contrario di quanto si pensa, a ridurre le perdite di produzione: è il risultato di una ricerca triennale frutto di una collaborazione tra l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna (gruppo di Agroecologia) e l’Institut National de la Rechèrche Agronomique di Digione, in Francia, pubblicata sulla rivista scientifica Nature Sustainability.

La ricerca fa parte del progetto di dottorato di ricerca di Guillaume Adeux, allievo del PhD in Agrobiodiversity della Sant’Anna, co-supervisionato da Paolo Bàrberi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Istituto di Scienze della Vita, e da Stefano Carlesi, tecnologo, da parte italiana e da Stéphane Cordeau e Nicolas Munier-Jolain da quella francese.

Secondo questo studio, condotto dal giovane studioso e dai suoi colleghi, la riduzione di resa delle colture dovuta alla competizione delle erbe spontanee non è tanto da imputare alla loro presenza quanto alla riduzione della loro diversità. Infatti, osservando con maggiore attenzione l’effetto delle così dette “malerbe”, si può notare come non tutte producano gli stessi danni alle colture. Comunità di specie più diversificate producono minori danni, in misura inversamente proporzionale all’equilibrio tra le specie.

La ragione, spiegano gli autori nello studio, è da ricercare in alcune proprietà emergenti della biodiversità: attraverso un uso razionale delle risorse disponibili e l’occupazione delle cosiddette “nicchie ecologiche” le specie spontanee presenti impediscono ad altre particolarmente aggressive e competitive di insediarsi o diventare dominanti e quindi di causare ingenti riduzioni produzione. I risultati appena pubblicati rafforzano l’ipotesi che la biodiversità sia un fattore positivo non solo negli ecosistemi naturali ma anche negli agroecosistemi.

Quest’approccio agro-ecologico consente di guardare alle produzioni agrarie da una nuova prospettiva, come sottolineano gli autori della ricerca: basandosi sulla conoscenza delle interazioni tra specie diverse si possono mantenere o migliorare le rese agricole riducendo in maniera significativa concimi e pesticidi e, di conseguenza, anche il loro impatto sulla salute umana. Attraverso la “biodiversità funzionale” e il rispetto degli equilibri ambientali la natura può lavorare per noi fornendo servizi ecosistemici tra i quali una produzione agraria sufficiente in termini di quantità e di qualità, diminuendo in maniera consistente l’impiego di energia e di sostanze potenzialmente dannose.

Eppure al crescente interesse per l’agro-ecologia, sia da parte di istituzioni internazionali come la FAO e la Commissione Europea sia della società civile, non corrisponde al momento un analogo riscontro nel mondo della ricerca, soprattutto in Italia.  “Le ragioni della discrepanza – spiega Stefano Carlesi – sono da ricercare nel grande dispendio di tempo richiesto da questo genere di ricerche. Per ottenere risultati pubblicabili servono come minimo tre anni di lavoro. Per poter dimostrare gli effetti delle rotazioni colturali o delle pratiche agricole sulla fertilità del suolo non è raro dovere attendere cinque, sette anni o anche di più”.

“Noi – aggiunge Paolo Bàrberi – crediamo invece che il futuro della ricerca stia nella collaborazione transdisciplinare e nel non aver paura di esplorare strade nuove e apparentemente poco redditizie. Non si può ridurre la scienza a un mero e triste calcolo di indicatori di produttività che ignorano l’impatto sulla società”.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna

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