Agricoltura

Bufera Petti a Livorno, la filiera del pomodoro toscano a rischio

ipotesi importazione di poodoro dalla Cina per la Petti di Livorno. Toscana ambiente

Quattromila tonnellate di conserve e semilavorati di pomodoro sequestrate dai Carabinieri: “Ipotesi importazione dalla Cina”.

 

di Marcello Bartoli

LIVORNO – Il tema della sicurezza e della tracciabilità dei prodotti alimentari è sempre di attualità. Esistono ancora aziende che perseguono il profitto mettendo in secondo piano la salute, gli interessi dei consumatori e il loro diritto a essere perfettamente informati su ciò che stanno consumando, sottovalutando come siano proprio i clienti a rappresentare la loro ricchezza principale.

E’ dei giorni scorsi la notizia di oltre 4.000 tonnellate di conserve e semilavorati di pomodoro sequestrate dai Carabinieri negli stabilimenti Petti di Venturina Terme e Campo alla Croce di Campiglia Marittima nell’ambito di un’indagine per frode in commercio coordinata dalla Procura di Livorno. Secondo gli inquirenti l’azienda commercializzava prodotti etichettati come 100% italiani o 100% toscani, quando in realtà erano realizzati miscelando materia prima locale con pomodoro straniero.

Petti si difende spiegando che l’azienda “presenterà tutta la documentazione per dimostrare la tracciabilità del prodotto semilavorato oggetto delle indagini e chiederà il dissequestro della merce poiché regolarmente utilizzata per il confezionamento di prodotti a marchi terzi, destinati all’esportazione fuori dall’Italia”.

Nel 2020 sono aumentate del 17% le importazioni di derivati del pomodoro dalla Cina, che con la spedizione di 69 milioni di chili è il principale fornitore dell’Italia nell’anno del Covid – ha commentato Coldiretti Toscana-. E’ grazie al pressing della Coldiretti se è in vigore l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e altri derivati del pomodoro che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro”.

In Toscana sono coltivati a pomodoro circa 2.000 ettari, il 50% dei quali in Maremma e il resto tra le province di Livorno e Pisa e il Mugello. Per coltivarlo in provincia di Grosseto si spendono mediamente dai 5 ai 7.000 euro per ettaro con una resa di 850 quintali.

“Se lo si pagasse, come avveniva nel 2017, 82 euro alla tonnellata coltivarlo non sarebbe più conveniente – interviene Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana- . Con l’avvento di Petti c’è stata una crescita del prezzo all’origine fino a 105 /120 euro e una redditività più elevata, ma ancora non sufficiente a garantire i margini giusti per gli agricoltori. Spero che le ipotesi di reato contestate all’azienda livornese non pregiudichino in qualche modo la trasformazione toscana perché si rischierebbe di interrompere una filiera importante per l’economia toscana e la sostenibilità economica e ambientale”.

La vicenda rischia di assumere toni grotteschi considerati i 312 milioni di euro di risorse europee che la Toscana avrà a disposizione per l’agricoltura nella programmazione 2021-2022, dei quali 50 milioni all’anno destinati al biologico.

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