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Potrà mai l’agricoltura biologica sfamare la popolazione mondiale?

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Basta fare due conti per capire che non dobbiamo per forza mangiare spazzatura se vogliamo mangiare tutti.

 

di Mario Apicella

Un tema carissimo ai detrattori dell’agricoltura biologica è quello della pretestuosa impossibilità di riuscire a produrre cibo per tutta la popolazione mondiale, in continua crescita, con sistemi rispettosi dell’ambiente, in totale assenza di deleteri pesticidi sintetici.

Con un sistema tipico della peggiore propaganda la Bayer ha scritto in questi giorni di drammatica crisi mondiale alla Commissione Europea, in procinto di varare la Strategia Europea per la biodiversità e la Strategia “Dalla terra alla tavola” all’interno del Green Deal e della Politica Agricola Comune, per rivendicare la grandiosità di un progetto pieno di chimica nel piatto, con l’obsoleta scusa che non esistono alternative da offrire al mondo intero se si vuole supportare la crescente domanda di alimenti, mangimi e fibre. Per tali necessità, sostengono in tanti, l’agricoltura biologica è assolutamente incapace di reggere il confronto con quella che i paladini delle manipolazioni genetiche e della compravendita di scienziati propongono al mondo intero.

In risposta alle esigenze di questo importante colosso dell’economia mondiale un bravissimo Paolo De Castro, da sempre fedele paladino, ha spiegato che il Green Deal non deve compromettere la redditività degli speculatori del comparto. Riuscendo, con il suo gruppo di rappresentanti delle vecchie istanze feudatarie, a spostare l’uscita della tanto attesa nuova PAC al 2023, sta racimolando risorse per i comparti che definisce ormai in ginocchio e che per sua scienza e mancanza di coscienza sono il lattiero-caseario, il vitivinicolo, l’ortofrutta, il florovivaismo, le carni bovine e suine fino ai rinomati prosciutti, tutti settori di agricoltura industriale scelti tra i più inquinanti e speculativi che il nostro Paese può vantare1

Sembra quasi che la lezione del Covid-19, anziché orientare la politica e i politicanti verso una strategia che incentivi la prevenzione primaria basata su cibo sano e aria pulita, provi ad andare verso il peggioramento della sicurezza alimentare e dello stesso ambiente pur di mantenere in vita metodiche contestatissime di gestione della speculazione agroalimentare, che tanto peso hanno avuto nel determinare il degrado anche morale in cui ci ritroviamo.

Senza essere pessimisti e senza deprimerci proviamo allora a far due conti per far capire al comune cittadino che la paura di dover per forza mangiare spazzatura, se si vuol mangiare tutti, davvero non esiste e non è mai esistita.

Lavorando con i numeri serve evidenziare ad amici e nemici che tra l’alimentazione vegetariana predominante in molti Paesi orientali e il pericoloso uso di carne da allevamento industriale dei Paesi occidentali esiste un saggio equilibrio nutraceutico, in grado di nutrire e curare non solo noi ma lo stesso Pianeta e chi ci dovrà continuare a vivere.

Soffermiamoci su tre punti:
1. La superficie totale dei terreni agricoli usati per gli allevamenti intensivi, soprattutto con coltivazioni OGM di soia e mais, raggiunge ormai a livello mondiale i 2,5 miliardi di ettari, ovvero circa la metà di tutta la superficie agricola del mondo. Solo nell’Unione Europea il 63% delle terre arabili è coltivato per produrre foraggi, cereali e leguminose per tali allevamenti (pascoli esclusi dunque). I Paesi industrializzati impiegano ben 2/3 della loro produzione cerealicola, anziché per l’alimentazione umana, per l’allevamento del bestiame2. Secondo la FAO il 26% delle terre emerse (pari all’estensione di Europa e Africa messe insieme) è destinato agli allevamenti, ai campi per produrre mangimi e agli impianti di trasformazione e confezionamento3.

2. Le superfici disboscate in Amazzonia e nell’Asia sud orientale accolgono speculative produzioni di OGM e olio di palma (non a tutti graditi).

3. Ogni settimana vengono pubblicate nuove ricerche che dimostrano quanto gli allevamenti intensivi siano nocivi per il nostro pianeta, per la nostra salute e per gli stessi animali, non solo per i gas serra prodotti, ma anche per il pericoloso impiego del 75% degli antibiotici prodotti a livello mondiale, con l’antibiotico resistenza che è diventata ormai una priorità di sanità pubblica4

Fermiamoci qui senza cavalcare l’obbligo di parlare del Covid 19, che negli Stati Uniti ha fatto segnalare il più grande focolaio tra i lavoratori di un impianto di lavorazione della carne nel South Dakota5.

Possiamo indubbiamente concludere quindi che non è certo l’agricoltura biologica – che mantiene animali idealmente autoctoni al pascolo e propone insieme a corrette pratiche agronomiche e ambientali anche una corretta alimentazione – a non essere competitiva, non solo per le rese (che non vanno misurate solo annualmente e in quintali per ettaro), ma anche per fattori ambientali e sociali (mantenere la fertilità del suolo per le generazioni future e non incidere con danni evidenti e costi scaricati sulle popolazioni residenti e i consumatori ignari) con una ripartizione produttiva e un modello agroecologico proponibile su scala mondiale, come dimostrato e sempre meglio evidenziato da tante ricerche indipendenti e dalla logica evidenza.6

1  www.ilsole24ore.com/art/de-castro-l-agroalimentare-sia-cuore-rilancio-economico-dell-europa-ADt56x

 

Mario ApicellaMario Apicella nasce nel 1957 a Bari dove si fa conoscere come cantautore e audace paracadutista. Si è laureato nel 1984 in Scienze Agrarie discutendo una tesi sulla coltivazione della canapa nei paesi tropicali e sub tropicali. Dopo aver diretto un servizio di giardinaggio per delle cliniche private e aver cresciuto due meravigliosi figli, nel 2000 si è trasferito in Toscana dove ha iniziato a praticare la libera professione esclusivamente nell’ambito delle aziende biologiche, collaborando con le istituzioni più sensibili per valorizzare la biodiversità agraria e la gestione agroecologica dei territori. Oggi con sua moglie Janina ha altri quattro bambini e continua a fare l’agronomo, è il portavoce del Biodistretto del Monte Amiata e gestisce lo Sportello Verde di Carmignano, Comune da cui si sente adottato e per il quale ha redatto un importante Regolamento per l’uso razionale dei pesticidi e un Atlante delle produzioni naturali e tradizionali, dei servizi e dell’ecoturismo di Carmignano.